Avvocato Domenico Esposito
 

 

CONDANNA AL MINISTERO PER LA MANCATA ESECUZIONE DI SENTENZA CHE DISPONE L'INDENNIZZO LEGGE PINTO

 

Il TAR Lazio, con al Sentenza 10-24 ottobre 2012, n. 8746, ha

- ordinato al Ministero della Giustizia di dare esecuzione sentenza della Cassazione ceh disponeva il risarcimento Legge Pinto in favore del ricorrente;

- condannato il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno da ritardo in favore dell’odierna ricorrente;

- determinato il risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 114 del codice del processo amministrativo, con riferimento alla misura degli interessi moratori dovuti dall’amministrazione per il ritardo nel pagamento delle somme liquidate, pari all'EURIBOR applicabile durante tale periodo, aumentato del 3%.

- disposto che, ove l’amministrazione non ottemperi entro 30 giorni vi provveda un commissario ad acta, appositamente nominato;

- condannato il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese anche della procedura amministrativa, in favore del difensore del ricorrente.

Art. 114 del codice del processo amministrativo.
Il TAR accoglie l'orientamento del Cons. Stato, sez V, ord. 14 maggio 2012 n. 2744, secondo cui l’istituto della cd. penalità di mora nel processo amministrativo può essere applicato anche in sede di ottemperanza alle sentenze di condanna pecuniaria della P.A., potendosi, quindi, fissare, anche con la sentenza di ottemperanza, salvo che ciò sia manifestamente iniquo e in assenza di ulteriori ragioni ostative, su richiesta di parte, una somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato, con statuizione costituente titolo esecutivo.
Sempre secondo detta pronuncia del Consiglio di Stato: “la misura prevista dall’art. 114, comma 4, lettera e), del c.p.a. assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volta a riparare il pregiudizio cagionato dall’esecuzione della sentenza ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento”.

 

 

T.A.R. Lazio - Roma - Sezione I

Sentenza 10-24 ottobre 2012, n. 8746

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 2814 del 2012, proposto da B. G., rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Massa, per il presente giudizio elettivamente domiciliata in Roma, alla via Polibio n. 45, presso lo studio dell'avv. Enrica Deuringer;

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliato, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

per l’esecuzione del giudicato costituito dalla sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 23831/2011 del 14 novembre 2011, notificata in forma esecutiva al Ministero della Giustizia in data 6 – 20 marzo 2012, pronunziata all’esito di ricorso ex lege 89/2001 (legge Pinto) per riconoscimento dell’equo indennizzo per eccessiva durata del processo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Ministero dell’Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2012 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con la decisione indicata in epigrafe, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto, in favore dell’odierna ricorrente, la somma di € 9.250,00 per indennizzo ai sensi della legge 89/2001, oltre interessi legali dalla data della domanda, nonché il rimborso delle spese di giudizio determinate:

- per il giudizio di merito, in complessivi € 2.862,00, di cui € 807,00 per diritti ed € 2.005,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Giunio Massa

- e per il giudizio di legittimità, compensandone il 50%, in complessivi € 2.500,00, di cui € 2.400,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Giunio Massa.

Nel sottolineare il carattere di definitività della pronunzia come sopra resa dalla Suprema Corte, parte ricorrente chiede con il presente mezzo di tutela:

- la condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento delle somme come sopra indicate;

- e, ulteriormente, la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno da ritardo, con decorrenza dalla presentazione della domanda giudiziale dinanzi alla Corte d’Appello di Genova (il cui decreto è stato, poi, parzialmente riformato con la pronunzia della Suprema Corte di Cassazione della cui esecuzione si tratta).

L'Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla Camera di Consiglio del 10 ottobre 2012.

DIRITTO

Il ricorso è fondato, nei limiti infra precisati e, per l’effetto, in tali limiti suscettibile di accoglimento.

1. La legge 24 marzo 2001 n. 89 (cd. “legge Pinto”) ha dato esecuzione, nell’ordinamento interno, alle pronunce della CEDU sul termine ragionevole di conclusione del processo e sulle misure riparatorie necessarie per il caso di ritardo irragionevole.

La CEDU, pur riconoscendo che il meccanismo indennitario della legge Pinto è accessibile ed effettivo, ha elaborato alcune linee interpretative – di seguito sinteticamente riportate – che ne rendono più rigorosa la disciplina, in particolare per l’ipotesi in cui le autorità nazionali rimangano inerti dopo l’emissione dei provvedimenti giudiziari che riconoscono e liquidano l’indennizzo.

Fra le pronunzie che si sono date carico, ex professo, di definire le linee attuative delle disposizioni dettate dalla Legge Pinto, al contempo individuandone i profili di compatibilità con la disciplina sovranazionale, si rammentano CEDU, Grande Camera, 29 marzo 2006 Cocchiarella c. Italia (di seguito: sentenza Cocchiarella) e CEDU, Sez. II, 21 dicembre 2010 Gaglione c. Italia (di seguito: sentenza Gaglione).

Gli arresti giurisprudenziali di che trattasi hanno, in primo luogo, evidenziato che l’esecuzione della condanna relativa all’indennizzo fa parte del termine complessivo del processo, e dunque rileva ai fini del rispetto dell'art. 6, par. 1, della Convenzione (v. sentenza Cocchiarella punto 87; sentenza Gaglione punto 32).

La Corte europea ha poi ammesso che, tra la data in cui il provvedimento del giudice diventa esecutivo e quella del pagamento possa intercorrere un arco temporale di “tolleranza”, che è stato equitativamente commisurato ad un periodo non ultrasemestrale (v. sentenza Cocchiarella punto 89; sentenza Gaglione punto 34).

Ed ha, ulteriormente, escluso che la mancanza di risorse finanziarie possa integrare idoneo fondamento giustificativo al fine di disattendere l’adempimento di una ragione di debito che abbia ricevuto riconoscimento in sede giurisdizionale (cfr. sentenza Cocchiarella punto 90; sentenza Gaglione punto 35).

Conseguentemente, si impone un’interpretazione restrittiva (sostanzialmente, la disapplicazione) dell’art. 3, comma 7, della legge 89/2001 (sopravvissuto, nella originaria formulazione, alle modificazioni apportate dall’art. 55 del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012 n. 134), che ha posto il vincolo delle risorse disponibili: e ciò in quanto, sulla base della citata giurisprudenza CEDU, l’Amministrazione è tenuta ad operare le necessarie variazioni di bilancio al fine di acquisire la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie al pagamento degli indennizzi.

Tale convincimento trova fondamento nella previsione dettata dall’art. 52 della Carta di Nizza, che impone di riconoscere a tutti i diritti contemplati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (che trovano corrispondenza in quelli tutelati dalla Carta di Nizza stessa) un significato e una portata uguali a questi ultimi (potendo essere garantita dall’ordinamento dell'Unione solo una protezione più amplia): per cui nella perimetrazione dell’ambito di applicazione del diritto dell'Unione al principio dell'equo processo previsto dall'art. 47 della Carta di Nizza, non può essere a quest’ultimo attribuita una minore valenza rispetto all’analogo principio previsto dall'art. 6 della CEDU.

2. I suindicati orientamenti, che meritano larga, quanto convinta adesione, richiedono peraltro, ad avviso del Collegio, una necessaria puntualizzazione al fine di armonizzarne il precipitato effettuale rispetto alla latitudine valutativa che assiste, nell’attuale ordito codicistico, la individuazione dei presupposti (e la conseguente determinazione) del danno da ritardo, secondo la fattispecie prevista alla lett. e) del comma 4 dell’art. 114 c.p.a.

Tale disposizione, compresa nel Titolo I del Libro IV (Giudizio di ottemperanza) prevede che “il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, … salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo”.

Ritiene il Collegio che la disposizione all’esame sia suscettibile di applicazione anche nei casi in cui l’obbligo – perdurantemente inadempiuto da parte dell’Amministrazione – concerna obbligazioni pecuniarie.

È ben vero che talune pronunzie rese in prime cure hanno escluso tale conclusione.

In tal senso, è stato affermato che l'istituto della penalità di mora (c.d. astreinte), introdotto nel processo amministrativo dall'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., come novellato dal D.Lgs. 15 novembre 2011 n. 195, costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario in particolare quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili; mentre non è applicabile quando l'obbligo di cui si chiede l'adempimento consiste, esso stesso, nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 29 dicembre 2011 n. 10305 e sez. II-quater, 31 gennaio 2012 n. 1080).

Ritiene peraltro la Sezione che meriti convinta adesione il diverso convincimento espresso da Cons. Stato, sez V, ord. 14 maggio 2012 n. 2744, in base al quale:

- “l’art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a. (che ha introdotto, in via generale, nel processo amministrativo, l’istituto della cd. penalità di mora, già regolato per il processo civile, con riguardo alle sentenze aventi per oggetto obblighi di fare infungibile o di non fare, dall’art. 614-bis del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 49 della legge 18 giugno 2009, n. 69) può essere applicato anche in sede di ottemperanza alle sentenze di condanna pecuniaria della P.A”; con la conseguenza che “anche con la sentenza di ottemperanza … può essere fissata, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e in assenza di ulteriori ragioni ostative, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato, con una statuizione costituente titolo esecutivo”;

- “la misura prevista dall’art. 114, comma 4, lettera e), del c.p.a. assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volta a riparare il pregiudizio cagionato dall’esecuzione della sentenza ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento”;

- “si tratta … di una misura caratterizzata da importanti differenze rispetto alla previsione di cui all’art. 614-bis c.p.c., (applicabile solo alla violazione di obblighi di fare infungibile o di non fare)”

con la conseguenza che, “nel caso in cui sussistano tutti i presupposti stabiliti dall’art. 114 c.p.a. per l’applicazione della sanzione della cd. penalità di mora (la richiesta di parte, formulata con il ricorso, l’insussistenza di profili di manifesta iniquità e la non ricorrenza di altre ragioni ostative), la P.A., anche in sede di ottemperanza, può essere condannata al pagamento di detta sanzione, facendo riferimento, per la sua determinazione concreta, ai parametri di cui all’art. 614 bis del codice di procedura civile”.

La condivisibilità del convincimento sopra riportato nei suoi essenziali tratti enunciativi, riviene dalla considerazione che, nel quadro della disciplina processuale amministrativa, l’istituto è caratterizzato da una più ampia portata applicativa rispetto al processo civile, in quanto l’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. non ha riprodotto il limite, stabilito della norma di rito civile, della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile: conseguentemente integrando la limitazione di tale strumento alle sole obbligazioni da ultimo indicate una inaccettabile vulnerazione del principio cardine della effettività della tutela, le cui ricadute effettuali ben coinvolgono l’esercitabilità di tutti gli strumenti suscettibili di condurre alla pienezza del soddisfacimento della pretesa (fondatamente) dedotta in giudizio.

3. Se va decisamente sgombrato il campo da possibili delimitazioni della latitudine espansiva della disposizione in rassegna con riferimento alle (insoddisfatte) obbligazioni pecuniarie, il Collegio intende tuttavia darsi carico della individuazione delle necessarie coordinate attuative che assistono l’applicazione dell’istituto de quo alle vicende contenziose (caratterizzate da ricorrente e consistente presenza) concernenti le condanne dell’Amministrazione per violazioni delle disposizioni sulla ragionevole durata del giudizio.

3.1 Se non intende il Collegio soffermarsi sulla ratio ispirativa che ha mosso il Legislatore nell’enucleazione, nel quadro della cd. “Legge Pinto”, delle modalità indennitarie volte a ristorare la parte ingiustamente vulnerata – nel quadro della “richiesta di giustizia” che costituisce cardine indefettibile dell’ordinamento costituzionale – da una ingiustificata dilatazione dei tempi processuali (dovendosi, al riguardo, tuttavia richiamare l’intervento modificativo recentemente perfezionato a mezzo del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012 n. 134), va con decisione affermato che non intercetta idoneo presupposto giustificativo l’atteggiamento dell’Amministrazione che frapponga al soddisfacimento della pretesa del cittadino un ulteriore ritardo nella liquidazione dell’indennizzo previsto dalla normazione di che trattasi.

Si viene, in tale caso (avente costante attuazione nella realtà processuale offerta all’attenzione della Sezione), a giustapporre all’ingiustificabile indugio nella definizione del giudizio un nuovo ed ulteriore arco temporale contraddistinto dalla passività offerta dall’Amministrazione al soddisfacimento di una pretesa creditoria cristallizzata in un titolo giudiziale, assistito da attuale esecutività, recante condanna al pagamento dell’importo liquidato a titolo indennitario.

Se – esclusa la concludente rilevanza assunta, ai fini in discorso, dalla non adeguata disponibilità di risorse finanziarie in capo all’Amministrazione (come, del resto, eloquentemente e condivisibilmente affermato dalla Corte dei Diritti dell’Uomo) – il ritardo ulteriormente frapposto alla pretesa creditoria dimostra carattere di incontroversa inescusabilità, allora appieno viene in considerazione la presenza dei presupposti – di cui alla disposizione del codice di rito precedentemente riportata (e commentata) – per la condanna della parte resistente al risarcimento del danno da ritardo, veicolata dalla individuazione di una somma che sanzioni, in coordinamento con il decorso del tempo intercorrente fra l’esigibilità del titolo giudiziario e l’effettivo soddisfacimento della pretesa creditoria, la protratta inerzia del debitore.

Conviene il Collegio – a proposito delle concrete modalità attuative dell’istituto onde trattasi, coordinate con la natura del credito fatto valere (indennizzo ex lege Pinto) – con quanto dalla Corte europea sostenuto circa la configurabilità (e la conseguente concedibilità) del suindicato termine di “tolleranza” di 6 mesi, la cui decorrenza va individuata con riferimento alla data in cui il titolo giudiziale recante condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di indennizzo, munito della prescritta formula esecutiva, sia stato notificato nei confronti dell’Amministrazione soccombente.

3.2 Ritiene tuttavia il Collegio che, quanto alla concreta commisurazione del risarcimento del danno da ritardo, l’orientamento manifestato dalla CEDU meriti una rimeditazione.

La Corte europea, infatti, nel classificare tale pregiudizio come “una forma di danno morale”, ha ritenuto che, una volta decorso il semestre di tolleranza in precedenza indicato, la relativa commisurazione, affidata a valutazione di carattere equitativo rimessa al competente organo di giustizia:

- inizialmente, di attribuire una somma pari a € 100,00 per ogni mese di ritardo (v. sentenza Cocchiarella, punto 146)

- in seguito pervenendo al diverso convincimento di riconoscere una somma “a forfait”, pari a € 200,00, indipendentemente dalla durata del ritardo (v. sentenza Gaglione, punti 65-66-70).

Ritiene il Collegio, ai fini della quantificazione del pregiudizio da ritardo oggetto della presente controversia, che il primo degli enunciati orientamenti (individuazione di una somma coordinata alla durata del ritardo) meriti più convinta adesione, atteso che la seconda delle riportate soluzioni elaborate dalla CEDU (fondata su considerazioni proprie della Corte europea, in particolare connesse all’esigenza di non alimentare ricorsi seriali) verrebbe a tradursi in modalità di ingiustificata equiparazione di posizioni differenziate, atteso che un ristoro di carattere risarcitorio identicamente commisurato verrebbe riconosciuto indipendentemente dalla durata del ritardo dall’Amministrazione frapposto al soddisfacimento del credito.

In tal senso, la proporzionalità del risarcimento rispetto alla durata del ritardo appare il criterio più contiguo al canone di equità, ma anche il più funzionale ai fini dell’ottemperanza, in quanto suscettibile di ingenerare nell’Amministrazione un meccanismo sollecitatorio e/o incentivante ai fini del pagamento dell’indennizzo, rendendo significativamente onerosa la protrazione dell’inerzia.

Se, quindi, la commisurazione del risarcimento va coordinata alla durata del ritardo nel soddisfacimento della pretesa creditoria, ritiene il Collegio, nell’esercizio dell’apprezzamento equitativo al medesimo in materia rimesso dalla riportata previsione ex art. 114 c.p.a., che la quantificazione del pregiudizio risarcibile ben possa essere effettuata prendendo a fondamento il parametro dalla stessa CEDU individuato con riferimento alla commisurazione degli interessi moratori dovuti dall’Amministrazione per il ritardo nel pagamento delle somme liquidate (riferita ad un “interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali”).

Tale misura – e, quindi, il tasso sopra individuato, da applicare sulla sorte capitale dovuta a titolo indennitario – dovrà essere corrisposta a titolo di risarcimento del danno da ritardo, a carico dell’Amministrazione, a far tempo dalla notificazione del titolo giudiziario in forma esecutiva e fino all’effettivo soddisfacimento del credito.

3.3 Ciò posto, va ulteriormente tenuto presente che l’apprezzamento equitativo rimesso al giudice non può non tradursi nella necessaria valutazione (anche) della diligente coltivazione, ad opera della parte, dei previsti mezzi di tutela: ovvero, della sollecita e diligente proposizione di quegli strumenti preordinati a veicolare, anche a mezzo dei previsti meccanismi sostitutivi, l’effettività del soddisfacimento della pretesa creditoria.

Ben è consapevole il Collegio che l’esercitabilità dell’actio judicati è presidiata, ai sensi dell’art. 114, comma 1, da un termine prescrizionale di dieci anni.

Se, conseguentemente, la percorribilità di tale strumento di tutela trova legittima espansione nell’arco temporale come sopra individuato legislativamente, nondimeno la trascuranza nella proposizione del ricorso di ottemperanza, ove esperito a distanza di tempo rilevante rispetto:

- non soltanto alla formazione del titolo giudiziario (della cui esecuzione si tratta), munito di formula esecutiva

.- ma anche alla eventuale sollecitazione ad adempiere rivolta nei confronti dell’Amministrazione (non più necessaria, a mente delle disposizione di legge da ultimo citata)

appare suscettibile di influire sulla determinazione del danno da ritardo, atteso che, se l’indugio nell’adempimento rimane pur sempre imputabile all’Amministrazione, nondimeno il deficit attenzionale della parte (che abbia omesso una tempestiva attivazione del rimedio dell’ottemperanza) non può non reagire sulla quantificazione del pregiudizio risentito a titolo di ritardo.

In tal senso – e sovviene al riguardo, la previsione di cui all’art. 1227, comma 2, c.c. (dallo stesso c.p.a. richiamata dal comma 2 dell’art. 124) – un non giustificabile indugio nell’attivazione dei meccanismi processuali volti a conseguire l’attuazione del giudicato è suscettibile di essere valutato, ove connotabile in termini di inescusabile negligenza, nel novero dei comportamenti “negligenti”.

E, conseguentemente, può comportare una riduzione del risarcimento ex art. 114, comma 4, lett. e), nella misura equitativamente apprezzata dall’organo di giustizia, con riferimento alla coordinata temporale rappresentata dal ritardato esperimento del rimedio giudiziale.

4. Nei limiti sopra indicati, il ricorso merita accoglimento.

Avuto riguardo al rilevante arco temporale intercorso dalla scadenza del semestre indicato al punto 3.1 (decorrente dalla notificazione in forma esecutiva, nei confronti del Ministero soccombente, della sentenza della cui esecuzione si tratta), dispone il Collegio di condannare la predetta Amministrazione al risarcimento del danno da ritardo in favore dell’odierno ricorrente, che – alla stregua di quanto precedentemente osservato – andrà dalla stessa Amministrazione quantificato con riferimento ai parametri di determinazione indicati al precedente punto 3.2.

Posta, secondo quanto ora stabilito, la risarcibilità del pregiudizio ex art. 114, comma 4, lett. e), c.p.c., all’accoglimento del presente mezzo di tutela consegue l’ordine, nei confronti del Ministero della Giustizia, nella persona del Ministro p.t., di dare piena ed integrale esecuzione alla sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 23831/2011 del 14 novembre 2011, notificata in forma esecutiva al Ministero della Giustizia in data 6 – 20 marzo 2012, con corresponsione degli importi indicati in narrativa.

Ciò disposto, stabilisce ulteriormente il Collegio la nomina, fin da ora, di un commissario ad acta, che provvederà – una volta decorso il termine di giorni 30 (trenta) dalla notificazione, o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza – al pagamento delle somme indicate in narrativa, alle quali dovrà essere altresì aggiunto l’importo dovuto per il danno da ritardo, giusta quanto precedentemente stabilito.

Il predetto organo commissariale viene nominato nella persona del responsabile dell’Ufficio X della Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero dell’Economia e delle Finanze essendo opportuno che il commissario ad acta abbia una conoscenza diretta della gestione del bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze; poiché le funzioni di commissario ad acta sono assegnate a un dipendente pubblico già inserito nella struttura competente per i pagamenti della legge Pinto, l’onere per le prestazioni svolte rimane interamente a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Le spese di lite, che seguono la soccombenza, vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, così dispone:

- ORDINA al Ministero della Giustizia, nella persona del Ministro p.t., di dare piena ed integrale esecuzione sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 23831/2001 del 14 novembre 2011, provvedendo alla corresponsione degli importi dettagliati in narrativa in favore dei soggetti pure ivi indicati;

- CONDANNA il Ministero della Giustizia, nella persona del Ministro p.t., al risarcimento del danno da ritardo in favore dell’odierna ricorrente, giusta quanto in motivazione indicato;

- DISPONE che, ove l’Amministrazione non ottemperi a quanto sopra indicato entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, a tanto provveda, nella qualità di Commissario ad acta, il responsabile p.t. dell’Ufficio X della Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero dell’Economia e delle Finanze; al quale è demandato il compimento degli adempimenti di cui sopra nell’ulteriore termine di giorni 30 (trenta);

- CONDANNA il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., al pagamento delle spese della presente procedura, per complessivi € 1.000,00 (euro mille/00), in favore dell’avv. Giunio Massa, a fronte della richiesta formulata nell’atto introduttivo del giudizio, giusta quanto stabilito dal comma 1 dell’art. 93 c.p.c.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente

Roberto Politi, Consigliere, Estensore

Rosa Perna, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/10/2012

IL SEGRETARIO